Mini-Intervista a : APE UNIT (back from U.s.a./Mexico)

Ciao Tadca fedeli , in anticipo rispetto al sifone di agosto vi (al) lego la MINI INTERVISTA alla squad ‘APE UNIT’ ,appena di ritorno dal tour americano 2017 ( 16 date!). 4 domande ampie e rispettive risposte complete di sensazioni a caldo nonchè di giudizi elaborati ad opera del frontman Mariano Somà, che ringrazio per la celere risposta!

1)TADCA: Partiamo dall’aspetto tecnico-logistico! Houston, poi ogni sera un live a centinaia di chilometri dal precedente(anche in Messico)…dormivate negli aeroporti ?

1)APE UNIT :Avessimo dormito negli aeroporti, saremmo stati da puciu: in verità il tour è stata una vera zingarata, una scorribanda post-hippy dallo spirito punk, ad opera di cinque barotti sulla trentina della Granda. Brian Chamblee, chitarrista dei texani Chest Pain, ci ha affittato il suo furgone (uno sgarrupato ma quantomai onorevole Ford in grado di fare il proprio dovere, malgrado una serie di limiti) per permetterci di poterci muovere in autonomia fra una città e l’altra. Potrei riassumere il tour così: sveglia, 6-10 ore di vita e bivacco sulla furga, pause cibo e pipì nel cuore del deserto a 45° di media, arrivo al locale, concerto, party, dormire dove la Provvidenza ci avrebbe voluto accogliere. Tra l’altro, una cosa veramente figa che mi è rimasta nel cuore è l’accoglienza e l’umanità del pubblico: non abbiamo speso un solo dollaro per dormire; ogni volta, spontaneamente, qualche ragazza o ragazzo presente ai nostri live ci chiedeva se avessimo un posto in cui passare la notte e, senza che chiedessimo nulla, ci offriva la propria casa. La cosa mi ha lasciato positivamente basito e umanamente colpito: da quelle parti i tour dei gruppi underground non sono eccezioni, ma all’ordine del giorno – ogni città è gigantesca ed è normalissimo che, anche solo all’interno dello stesso ambito musicale, in una stessa sera, vi siano più locali che presentano concerti di band dalle più disparate provenienze – e in molti ragazzi c’è una forma mentis d’accoglienza e d’aiuto decisamente diversa da quella delle nostre parti.

2)TADCA: Diteci qual è stata la migliore data e perchè, o anzi le 3 preferite da voi e dal pubblico…un aneddoto?

2)APE UNIT : Un altro aspetto per cui spezzo una lancia per gli USA – per quanto, non voglio essere retorico, sappiamo tutti, da europei, quali invece ne siano i limiti e le problematiche – è la ‘tradizione’ dei cosiddetti houseshows: esatto, il concerto nel salotto in casa. Quaranta fenomeni pressati fra giardinetto e living room, sudati, a pogare come se non ci fosse un domani, mentre le band di turno fanno il loro, vicino al comodino col vaso di fiori e la foto di uncle Bob quando era in Vietnam. Zero vicini che protestano, zero sbirri che passano, zero burocrazia da rispettare; sempre divertimento, ovviamente, nel rispetto del prossimo e di tutta la neighbourhood. Ho toccato questo argomento perché, benché avessimo diverse date nei classici club, il meglio l’abbiamo dato sempre nei contesti più familiari, in particolare in questi houseshows; sicuramente due si giocano la palma del migliore, Victorville, città a un paio di ore di Los Angeles (California), e Flagstaff, a due passi dal Gran Canyon, in Arizona – due situazioni sudate, intense, appassionate (forse Flagstaff vince un po’ di più per taluni abusi di cui abbiamo potuto godere, ehehe!). Al terzo posto, lascerei un pari-merito generale con tutti gli altri live: nella media, fra alti e bassi, stanchezza, poca confidenza con la strumentazione affittata, timidezza, emozione, etc. ce la siamo sempre e comunque cavata.

Quindi vorresti anche un aneddoto? Ma uno solo! Per non tediarvi mi lancerò con un elenco, cosa che fa molto figo nei blog oggigiorno:

1- Phoenix, AZ: la casa del pazzo che registra gruppi crust alle 4 del mattino e ha una “stanza del piacere” vicino alla cucina che farebbe invidia al Marchese De Sade;

2- Saguaro National Park, AZ: Steve e la tarantola;

3- Los Angeles, CA: Shirley e Dennis, la coppia più bella e gentile del mondo – siamo ancora in imbarazzo per le troppe volte in cui ci hanno ospitato e coccolato nelle nostre date californiane;

4- Tijuana, MX: qualcuno si ricorda qualcosa di quella data? Il giorno dopo il concerto, uno dei nostri accompagnatori ha trovato uno scarrafone cotto nel riso che aveva ordinato nel ristorante in cui stavamo mangiando. La cameriera non ha detto nulla, ma ha reagito con un’espressione del tipo “Chiedo scusa, adesso ne metto uno anche nel piatto dei tuoi amici!”…

5- Scoprire che la musica folk messicana è identica al liscio di Raoul Casadei ma con le lyrics in spagnolo – non scherzo: https://www.youtube.com/watch?v=VqoCk_mTdTs

6- Dallas, TX: l’ospitalità, la dolcezza, i gatti molesti e il bagno improbabile di una crustie tanto carina, ma abbastanza girl power da non depilarsi MAI;

7- San Antonio, TX: la prima domanda che ci ha fatto il primo musicista locale che abbiamo conosciuto, la cantante della punk band in apertura, è stata: “So, you guys are anarchists?”. Un bel modo per rompere il ghiaccio; vista la mia natura sociopatico, potrei usarla anch’io… Ah, la sera stessa è venuto, a sorpresa, a trovarci un vip del calibro di Kevin Talley e mi ha pure fatto il solletico mentre cercavo una t-shirt commemorativa del tour per lui.

8- Crockett County, TX: perquisa degli sbirri, che hanno circondato il furgone con tre volanti. ‘Sti redneck in divisa non avevano mai visto dei non-americani: erano in imbarazzo davanti a passaporti e patenti internazionali di guida, ci hanno classificati come ispanoamericani (nonostante i passaporti dicessero ‘Italia’ ovunque; per non citare il fatto che alcuni di noi hanno i capelli piuttosto chiari e gli occhi azzurri… True Mexican, insomma!) nel loro verbale e temevano fossimo minacce all’ordine mondiale. All Cops Are Bastards, a qualunque latitudine.

3)TADCA: Immaginario collettivo: la metropoli americana è quello che ci si aspetta dai telefilms? Biochetasi post junk food overdose ne avevate in valigia? (avevate la valigia?)

3) A.U. : Effettivamente film e telefilm, a livello di iconografia statunitense, dicono un buon 75% di quello che si vede una volta sul posto, benché, comunque, la vita reale e l’esperienza aggiungano qualcosa di più: là le metropoli e le città intese come enormi agglomerati per fornire servizi E BASTA (zero cultura, zero musei, zero riferimenti paesaggistici storici) hanno senso d’esistere, per il fatto che, fra una città e l’altra, talora c’è il nulla (neanche un guardrail) anche per per 4-5 ore di viaggio, quindi l’ammassamento di beni per un’overdose di civilizzazione è una necessità reale. Una cosa che distrugge la salute più del junk food – so che per noi italiani è blasfemia, ma, oh, le cose chimiche son fatte così chimicamente ad arte da essere veramente buone! – è l’aria condizionata: abbiamo passato due settimane abbondanti nel deserto, fra i 40° e i 50° pressoché costanti; appena si andava in un locale al chiuso – dal baretto della stazione di servizio, all’ufficio postale, al cesso pubblico, alla casa privata, al locale in cui suonare –  trionfava l’aria condizionata. E negli USA se non metti l’aria condizionata in modalità Polo Sud il 24 dicembre sei una mezza sega. Sicché cagotto, mucose nasali dure e gialle come pepite d’oro, mal di testa e raffreddori e tossi cavalline fuori stagione sono stati i nostri peggiori nemici. Per fortuna Umbi, il nostro bassista, aveva abbastanza medicine dietro da salvare il 50% dei bambini dell’Africa e siamo ritornati a casa meno malconci di quanto credessimo, nonostante qualche piccolo imprevisto.

4)TADCA: Ultima domandina riassuntiva: le aspettative su questo tour oltreoceano: esaudite?  (4bis:  Ndo’ sta Gabicce Mare?) Grazie per la disponibilità, a presto!

A.U. : Sebbene due di noi (Los, uno dei chitarristi, e il sottoscritto, Mariano, voce) avessero già avuto un’esperienza di un tour statunitense nel 2010, con un’altra band e un contesto di scena e musica totalmente differente, l’approccio a questa situazione era una novità per tutti. Certo, talune dinamiche legate alla cultura locale erano pressoché le stesse e erano invariate, per quanto facesse sempre un certo effetto vederle ‘sul campo’; dal punto di vista delle soddisfazioni musicali, confesso di essere andato senza aspettarmi nulla di speciale, giacché volevo semplicemente godermi l’unicità dell’esperienza e trovare il modo di fare al meglio la mia parte sul palco, malgrado le difficoltà che ci sarebbero state. Beh. Col senno di poi, sono felicissimo: abbiamo ricevuto un sostegno, un appoggio e una risposta come non mai; non voglio sembrare il banfone-piscialungo-che se la tira della situazione, ma, anche nelle date più scacce, con meno gente, vendevamo di più, rispetto a una data ‘ben riuscita’ in Italia. Ritorniamo con una bella lezione d’attitudine e d’umiltà: spesso ci facciamo un sacco di paranoie, quando dobbiamo invitare band da fuori (regione, paese, nazione, continente), quando invece basterebbero il sostegno, l’entusiasmo e la voglia di fare. Le date migliori sono uscite nei posti più ‘umili’ e all’apparenza meno interessanti, nei quali, però, l’umanità brillava nei suoi aspetti migliori.

Mi auguro di cuore di poter ritornare da quelle parti e sento di augurare a tutte le band che conosco di poter fare un’esperienza simile, giacché, perdonatemi la retorica, le parole non bastano per descrivere un contesto così unico.

Redondo Beach is the new Spotorno!

Grazie Mariano, e a presto!

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